Onorevoli Colleghi! - Le indagini dell'Istituto nazionale di statistica, l'ultima delle quali del maggio 2006, relativa all'anno 2005, fanno da tempo registrare dati allarmanti sulla povertà nel nostro Paese.
      Per quanto attiene alla dinamica della povertà ricavata dalla rilevazione sui consumi delle famiglie, a partire dai primi anni ottanta, la percentuale di famiglie in condizione di povertà relativa è sempre stata prossima al 10 per cento, con un aumento particolarmente importante nel periodo 1987-1989, quando circa il 14 per cento delle famiglie residenti in Italia risultava povero. II valore è poi andato progressivamente diminuendo, per stabilizzarsi negli ultimi anni tra l'11 e il 12 per cento.
      Nel 2004, risultavano relativamente povere circa 2,6 milioni di famiglie, pari all'11,7 per cento del totale e corrispondenti a 7,6 milioni di individui.
      Dall'indagine sui redditi relativa all'anno 2003, emergeva in particolare che nelle famiglie numerose, per quelle con persona di riferimento con un solo reddito da lavoro e per quelle che come fonte prevalente di reddito hanno il trasferimento pubblico, aumenta il rischio di disagio economico. I risultati dell'indagine confermavano l'esistenza di un profondo divario territoriale: il reddito delle famiglie che abitano nelle regioni meridionali è circa tre quarti del reddito di quelle residenti al Nord. Le tipologie familiari più svantaggiate sono costituite dalle famiglie con almeno un figlio minore, sia monogenitore sia coppie, e dai giovani single che vivono esclusivamente di trasferimenti da parte di altri nuclei (ad esempio, gli studenti e i figli disoccupati che sono mantenuti

 

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dai genitori). Rispetto alle altre tipologie familiari, il reddito netto delle famiglie costituite da anziani soli è il meno elevato. Infine, la distribuzione dei redditi è caratterizzata da significative differenze di genere: infatti le famiglie in cui il reddito principale è prodotto da una donna sono relativamente meno presenti nella parte alta della distribuzione.
      Desta particolare interesse il dato sui percettori di bassi redditi da lavoro (in media 507 euro al mese) che costituiscono 4,2 milioni di individui, di cui circa un terzo (1,5 milioni di persone) vive in contesti familiari disagiati.
      Il fenomeno dei percettori di bassi redditi è più frequente tra:

          i lavoratori del Mezzogiorno;

          i lavoratori che risiedono in centri urbani medio-piccoli;

          le donne (28 per cento, contro il 12 per cento degli uomini);

          le persone con meno di venticinque anni (36 per cento);

          le persone con un grado di istruzione inferiore alla licenza media (32 per cento);

          i lavoratori che operano nel settore privato (21 per cento contro il 5 per cento degli impiegati del settore pubblico);

          i lavoratori con contratto a termine (il 40 per cento di questi, una misura di oltre tre volte superiore all'incidenza dei lavoratori a tempo indeterminato, pari all'11 per cento);

          chi opera nel settore dell'agricoltura, caccia e pesca (rappresentano il 50 per cento dei lavoratori a basso reddito) e chi svolge professioni non qualificate (il 42 per cento).

      Percepire un basso reddito da lavoro non si traduce necessariamente in una situazione di disagio economico. In realtà, solo nel 28,7 per cento dei casi i bassi redditi da lavoro rappresentano le uniche entrate da lavoro della famiglia (circa 1.212.000 persone, nel 45,5 per cento dei casi una donna), contro il 71,3 per cento di coloro che vivono in famiglie con due o più redditi da lavoro (78,2 per cento nel Nord e 63,9 per cento nel Mezzogiorno). Inoltre, dei 4,2 milioni di percettori di bassi redditi da lavoro, il 34,4 per cento, pari a 1,5 milioni di unità, vive in contesti familiari disagiati. Di questi poco più di 765 mila sono genitori (l'85,5 per cento in coppia), 135.000 risultano coniugi/partner in coppie senza figli e 268.000 sono figli; infine 235.000 sono persone sole.

      Le indicazioni che si traggono dall'analisi degli indicatori di deprivazione mostrano che almeno una volta negli ultimi dodici mesi una famiglia italiana su venti non ha avuto risorse economiche sufficienti per acquistare il cibo, quasi una famiglia su dieci ha incontrato difficoltà nell'affrontare le spese per cure mediche e la stessa percentuale si è trovata almeno una volta nell'anno in arretrato con il pagamento delle bollette. Le famiglie in cui sono presenti figli minori e quelle composte da persone sole rappresentano le tipologie più spesso associate a condizioni di disagio e maggiormente esposte al ritardo nei pagamenti. Le condizioni di deprivazione sono maggiormente stringenti nel Mezzogiorno.
      I segnali di disagio economico trovano conferma negli indicatori relativi alla percezione da parte delle famiglie rispetto alle difficoltà ad arrivare a fine mese, a risparmiare e a sostenere il carico delle spese per la casa, per pagare l'affitto, il mutuo e per gli altri debiti diversi dal mutuo.
      Per ciò che riguarda la qualità degli alloggi in Italia nel 2004, si può osservare che la mancanza delle dotazioni di base riguarda una quota molto modesta di famiglie. Tali circostanze, che si verificano in modo piuttosto uniforme sul territorio, si addensano nelle situazioni di maggiore disagio economico. Difetti importanti nell'abitazione di residenza sono più frequenti nel Mezzogiorno rispetto ai corrispondenti valori medi nazionali.
      L'incidenza delle spese per l'abitazione sul reddito è del 9,2 per cento per le famiglie più ricche e del 30,7 per cento per le più povere (in particolare, quelle che vivono in

 

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affitto). In relazione alla struttura familiare, le situazioni di maggiore vulnerabilità, quelle dove il rapporto tra le spese totali per l'abitazione e il reddito appare maggiormente critico, sono quelle dei single, particolarmente se minori di trentacinque anni di età, frequentemente in affitto e in fase iniziale di carriera, per i quali le spese per l'abitazione rappresentano il 24 per cento del reddito, e degli anziani con un reddito inferiore alla media nazionale (20,5 per cento). Altrettanto critica si presenta la situazione dei monogenitori con figli minori (22,8 per cento).
      Nel 2004, come detto, sono relativamente povere circa 2,6 milioni di famiglie, pari all'11,7 per cento del totale e corrispondenti a 7,6 milioni di individui. La povertà riguarda, in particolare, il Mezzogiorno, le famiglie con un elevato numero di componenti, gli anziani soli, le famiglie con disoccupati, e, nello specifico:

          circa una famiglia su quattro del Mezzogiorno, dove risiede il 69 per cento delle famiglie e il 72 per cento delle persone povere;

          quasi un quarto delle famiglie numerose (con tre e più figli minorenni);

          tre volte di più gli anziani soli e le coppie di anziani rispetto a singoli e coppie in cui la persona di riferimento ha un'età inferiore ai sessantacinque anni;

          quattro volte di più le famiglie dove due o più componenti sono in cerca di occupazione;

          anche le famiglie con occupazioni stabili, a basso profilo professionale e quindi a basso reddito.

      Un'analisi multivariata, che tiene conto contemporaneamente di molte variabili, applicata ai dati dell'indagine sui consumi delle famiglie nel 2004, individua quattro distinti gruppi di famiglie povere, differenziate in base alle principali caratteristiche strutturali della povertà:

          1) quelle unipersonali con persona di riferimento anziana: questo gruppo è caratterizzato dalla maggiore presenza di persone di riferimento donna, anziana, generalmente sola, rappresenta il 19,1 per cento con 511.000 famiglie e 689.000 individui;

          2) le coppie anziane con persona di riferimento ritirata dal lavoro: 33,2 per cento, pari a circa 887.000 famiglie e oltre 2 milioni di individui;

          3) le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione residenti nel Mezzogiorno: 8,1 per cento, per un ammontare di 216.000 famiglie e 713.000 individui; raccoglie le situazioni di maggiore difficoltà;

          4) le famiglie sempre residenti nel Mezzogiorno con persona di riferimento occupata in attività a basso contenuto professionale: il 39,7 per cento delle povere, per un ammontare di circa 1 milione di famiglie e 4 milioni di individui; mostrano un grado di povertà mediamente inferiore a quello degli altri gruppi.

      Questi dati ci illustrano un fenomeno che va combattuto attraverso meccanismi di redistribuzione del reddito che ottengano una ripartizione migliore delle risorse tra i diversi strati di cui è composta la popolazione.
      Le politiche di lotta alla povertà, come sappiamo, perseguono un duplice obiettivo: da un lato, costruire una rete di sicurezza, allo scopo di garantire ad ogni persona un livello minimo di sussistenza, promuovendone allo stesso tempo il reinserimento sociale; dall'altro, prevenire le situazioni di povertà e di esclusione, attraverso misure che, agendo specificamente sui fattori responsabili di tali fenomeni, sappiano agire a favore degli individui «a rischio», prima che si rompano i legami dell'inclusione sociale. Da un'analisi di questo tipo possono scaturire risposte di strategie politiche molto più articolate e quindi maggiormente efficaci. Ad esempio, per le situazioni di povertà cronica e profonda - che si configurano spesso come casi di vera e propria esclusione sociale - si dovrà agire sul lato della spesa, assicurando interventi di assistenza e di reinserimento; per i soggetti vicini alla

 

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soglia di povertà, invece, occorrerà concentrarsi sulle politiche di prevenzione.
      In un tale contesto, la proposta di legge, riguardante la normalizzazione di un sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà, vuole garantire che lo strumento di rilevazione delle situazioni di rischio, in tema di povertà, sia effettivamente efficace e costituisca una fonte di orientamento per politiche sociali, economiche e fiscali, tese alla prevenzione dei fenomeni di impoverimento nel nostro Paese.
      A garanzia del rispetto delle finalità di tale sistema, si prevede l'istituzione di una commissione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, composta da cinque esperti, la quale avrà anche il compito di apportare, se necessario, eventuali aggiornamenti e adeguamenti al sistema in base alla reale situazione sociale del Paese. Con uno o più regolamenti del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabilite le modalità di organizzazione e di funzionamento della commissione.
 

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